Fabrizio Sciuto
2025-06-20
Marie Curie: quando la passione per la fisica illuminò (letteralmente) il mondo
Smartimede© | 2024 | P.IVA 05062640874
Fabrizio Sciuto
2025-06-20
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Immaginate di lavorare per giorni interi in un laboratorio improvvisato, circondati da pile di pechblenda che luccicano debolmente al buio. Non c’erano guanti in lattice, tute schermanti o contatori Geiger a sorvegliare ogni movimento. C’erano solo la curiosità e la tenacia di due scienziati—Marie e Pierre Curie—che, alla fine dell’Ottocento, decisero di sfidare l’ignoto per rivelare i segreti dell’atomo. Questa è la storia di una scoperta che ha cambiato il volto della fisica e della medicina, ma anche la storia di un prezzo altissimo pagato in prima persona.
Alla fine del XIX secolo, la fisica stava vivendo la sua età dell’oro. Nel 1896 Henri Becquerel aveva notato che i sali di uranio emettevano misteriose radiazioni. Marie, fresca di laurea alla Sorbona e animata da una passione bruciante per la scienza, scelse proprio quel fenomeno inspiegato come tema di dottorato. Fu l’inizio di un’avventura in cui rigore matematico e intuito sperimentale si intrecciarono con un coraggio fuori dal comune.
Nel luglio 1898 i Curie pubblicano la scoperta di un elemento ancora più radioattivo dell’uranio, che Marie battezza polonio in onore della Polonia—la sua terra natale ancora assente dalle mappe politiche europee. Un gesto tanto simbolico quanto rivoluzionario: era la prima volta che una “voce femminile” si imponeva con forza in un ambito scientifico dominato dagli uomini. Solo cinque mesi dopo, nel dicembre 1898, la coppia annuncia il radio. Più intenso, più luminoso e—sarebbe stato chiaro solo molto dopo—pericolosamente più energetico. Per isolarne un decigrammo, Marie trattò oltre dieci tonnellate di residui minerari in un capannone fatiscente all’École de Physique et Chimie Industriale di Parigi. Le sue mani, raccontano le cronache, erano perennemente screpolate dalle sostanze caustiche utilizzate per le separazioni chimiche. La loro dedizione era totalizzante. Di notte Pierre si alzava dal letto per «ammirare quel lieve rossore» proveniente dalle provette di radio sul comodino. Marie annotava meticolosamente ogni bagliore, ogni variazione di peso, ogni cambiamento di colore, quasi ignorando il freddo pungente che filtrava dalle vetrate rotte del laboratorio. Era una ricerca che bruciava di entusiasmo, letteralmente: i quaderni di appunti dei Curie sono ancora oggi troppo radioattivi per essere consultati senza protezione.
All’epoca non esisteva il concetto di radioprotezione. I Curie portavano le fiale contenenti composti di radio in tasca per mostrarle agli amici, convinti che il bagliore verdeazzurro fosse prova tangibile della meraviglia scientifica appena scoperta. Nessuno immaginava che quelle stesse radiazioni stavano silenziosamente lesionando i tessuti biologici.
Burn-out radioattivo: Pierre lamentava spesso dolori articolari e un cronico affaticamento, sintomi che oggi attribuiremo a esposizione prolungata.
Lesioni cutanee: Marie soffriva di ustioni ricorrenti sulle dita, considerate «scottature da laboratorio» ma in realtà dovute all’energia ionizzante.
Mancanza di protezioni: Non c’erano camici piombati né schermature. Le mani nude mescolavano soluzioni incandescenti di radio e bario.
Le applicazioni del radio spaziarono dall’oncologia (radioterapia) alla creazione di vernici luminescenti, fino a nuovi standard di misura dell’intensità delle radiazioni. E se oggi dosimetri e bunker di piombo proteggono i ricercatori, lo si deve anche al sacrificio involontario dei Curie.
L’eredità di Marie Curie, però, non è solo nei trattati di fisica o nei reparti oncologici: è soprattutto nell’idea che la conoscenza avanza quando la passione supera la paura. Marie continuò a lavorare fin quasi all’ultimo, nonostante l’anemia aplastica che la condusse alla morte il 4 luglio 1934—verosimilmente causata proprio dalle radiazioni.
La storia delle radiazioni comincia con un bagliore in un laboratorio gelido di Parigi e si irradia—è il caso di dirlo—fino ai nostri giorni. È una storia di scoperte che hanno salvato milioni di vite, ma anche di rischi mortali corsi in nome della conoscenza. Raccontarla significa ricordare che la fisica non è fatta solo di formule: è fatta di persone, di passioni incandescenti e di sacrifici reali.
Quando la prossima volta vi capiterà di vedere una radiografia o di sentire parlare di trattamenti radioterapici, pensate a quelle provette che brillarono sul comodino dei Curie. E a una scienziata che, contro ogni convenzione, illuminò il mondo con la luce—e l’ombra—delle radiazioni.
Articolo redatto per la rubrica Fisica di Smartimede. Tutti i diritti riservati.